10 - Ridurre le disuguaglianze

Ridurre le disuguaglianze, a che punto siamo?

Il Goal 10 dell’Agenda 2030 punta a ridurre le disuguaglianze tra i Paesi e al loro interno. Un obiettivo ambizioso che riguarda molti ambiti diversi, non solo di tipo economico. Infatti, sebbene le ineguaglianze di reddito siano le più evidenti, il decimo obiettivo dell’Agenda vuole concentrarsi su ogni tipo di disuguaglianza, anche quelle che riguardano “età, genere, disabilità, etnia, origine, religione, status economico o altro”.

A livello globale si registra una diseguale distribuzione della ricchezza tra i diversi Paesi. I risultati economici per abitante, riferiti alla ricchezza media della popolazione, segnalano un evidente squilibrio tra le aree euro-nordamericana (con l’aggiunta della Penisola araba e dell’Australia) e il resto del mondo, in particolare l’Africa sub-sahariana e l’Asia centrale.

Progressi e crisi postpandemica

In ogni caso, ci sono anche da registrare alcuni progressi avvenuti nel corso degli ultimi anni: per esempio, confrontando il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) per abitante, è possibile notare un sensibile miglioramento a livello globale. Negli ultimi tre decenni, i redditi dei Paesi a basso e medio reddito hanno recuperato terreno rispetto a quelli dei Paesi più ricchi. Nel complesso, le differenze di reddito tra i Paesi sono diminuite del 37% tra il 1990 e il 2019.

Recentemente, tuttavia, questa convergenza ha subito un forte rallentamento, causato in parte dalla pandemia di COVID-19. Negli ultimi anni si è registrato il più grande aumento della disuguaglianza tra i Paesi nell'arco di tre decenni.

Disuguaglianze interne

Le distanze sociali in termini di ricchezza non si registrano solamente tra Paesi diversi, ma anche all’interno delle singole nazioni. Per valutare se in un Paese le fasce di popolazione più povere stanno partecipando al progresso economico, statisticamente è utile confrontare la crescita del reddito del 40% più povero della popolazione con il reddito della popolazione totale.

Crescita (in percentuale) del reddito del 40% più povero della popolazione superiore alla media nazionale, 2009-2022 (Fonte: The Sustainable Development Goals Report 2023)

I dati raccolti tra il 2009 e il 2022 segnalano che questo valore è generalmente cresciuto, a volte anche in maniera significativa, ma non è riuscito a invertire la tendenza alla concentrazione eccessiva di capitali nelle mani di pochi. Infatti in molti Paesi la distribuzione della ricchezza è ancora fortemente discriminante.

Secondo il World Inequality Database (WID), l'1% più ricco del pianeta possiede il 45% della ricchezza globale, mentre la metà più povera della popolazione mondiale (50%) è quasi completamente priva di ricchezza. Analoghe proporzioni per quanto riguarda il reddito. Questo divario tra la fascia alta e quella bassa della piramide sociale è in costante crescita da alcuni anni e ora è circa il 50% più alto rispetto al 2008.

Se i super ricchi continuano ad aumentare i loro guadagni, c’è una parte della popolazione mondiale che subisce il tormento della povertà. I numeri sono impressionanti: nel 2023 quasi 100 milioni di persone risultavano in condizioni di povertà estrema e 1,1 miliardi di persone vivevano in condizioni di povertà. Tra queste, mezzo miliardo sono concentrate nell’Africa subsahariana, ma ben 730 milioni di poveri sono cittadini di Paesi a medio reddito.

Questa “forbice sociale” nel suo complesso danneggia la crescita economica e destabilizza l’assetto sociale, in particolare per le persone più esposte al rischio di impoverimento ed emarginazione, come i bambini, i disabili, le donne.

Fonte: World Inequality Database 2023, update World Inequality Report 2022

Ridurre le disuguaglianze, che fare?

Puntare alla crescita del PIL per le popolazioni più povere rimane il punto centrale di questo Goal perché, se non si ha a sufficienza per sfamarsi e un luogo dove vivere, le altre differenze diventano secondarie.

Nel contempo oggi si è tutti più consapevoli che gli sforzi non vanno diretti solamente per promuovere la crescita economica. Infatti lo sviluppo di questo settore non può garantire da solo la riduzione della povertà e l’aumento del benessere. Bisogna pensare a una crescita inclusiva che coinvolga anche le altre dimensioni dello sviluppo sostenibile, sociale e ambientale.

È per questo che, per centrare l’obiettivo della riduzione delle disuguaglianze, le politiche internazionali e nazionali devono rivolgersi ai bisogni delle popolazioni svantaggiate ed emarginate. Si deve quindi puntare a migliorare l’intero sistema, nelle sue componenti fondamentali, soprattutto nell’accesso alla sanità e all’educazione.

I progetti delle Nazioni Unite

La situazione più grave si registra nei Paesi in via di sviluppo dove la fascia più povera è priva di mezzi di sussistenza e patisce la fame. L’ONU, riguardo a questo obiettivo dell’Agenda 2030, propone una serie di iniziative, per esempio quelle orientate a ridurre le disparità di genere: la Coalizione Internazionale di Equal Pay (EPIC) per raggiungere la parità di retribuzione tra uomo e donna, o l’invito ai padri a svolgere con i figli piccoli attività di gioco e insegnamento precoce per ridurre le disparità già dalla prima infanzia.

Inoltre il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) ha avviato alcuni progetti nei Paesi in via di sviluppo per ridurre le disuguaglianze nei Paesi dove i diritti umani sono più a rischio.

Per esempio, nel 2023, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, ha indetto il concorso "Change-makers in action: Costruire comunità inclusive e resilienti" che mira a illustrare come le comunità, gli individui e le organizzazioni contribuiscono a creare una società resiliente, inclusiva e pacifica.

Un modo per sottolineare il ruolo delle persone con disabilità come agenti di cambiamento nella costruzione della resilienza. La coesione sociale crea resilienza per tutti durante i disastri e le crisi umanitarie, poiché i legami sociali aiutano gli individui a resistere meglio e a riprendersi dalle crisi.

I traguardi

L’Agenda 2030 ha suddiviso questo goal in 10 target, qui sintetizzati, che precisano tutte le forme di discriminazione da eliminare e tutti gli ambiti in cui operare. Entro il 2030 si chiede di:

10.1 Far crescere il reddito del 40 per cento più povero della popolazione oltre la media nazionale.

10.2 Potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, genere, disabilità, razza, etnia, origine, religione, status economico o altro.

10.3 Garantire a tutti pari opportunità e ridurre le disuguaglianze, anche attraverso l’eliminazione di leggi, di politiche e di pratiche discriminatorie.

10.4 Adottare politiche, fiscali, salariali e di protezione sociale, per raggiungere una maggiore uguaglianza.

10.5 Migliorare la regolamentazione e il controllo dei mercati e delle istituzioni finanziarie globali e rafforzarne l’applicazione.

10.6 Assicurare maggiore rappresentanza e voce ai paesi in via di sviluppo nel processo decisionale a livello mondiale al fine di fornire istituzioni più efficaci, credibili, responsabili e legittime.

10.7 Facilitare la migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone.

10.a Attuare il principio del trattamento speciale e differenziato per i Paesi a basso reddito in conformità con gli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

10.b Promuovere l’aiuto pubblico allo sviluppo e i relativi flussi finanziari, compresi gli investimenti esteri diretti, agli Stati dove il bisogno è maggiore, in accordo con i loro piani e programmi nazionali.

10.c Ridurre a meno del 3 per cento i costi di transazione delle rimesse dei migranti ed eliminare i corridoi di rimesse con costi più alti del 5 per cento.

Focus - Il bullismo

Le forme di discriminazione economica negano l’accesso a una serie di benefici e servizi, impedendo la crescita personale e sociale degli individui. Ma le discriminazioni riguardano anche altri settori della vita dei cittadini, in forme talvolta poco visibili ma non per questo meno importanti.

Tra queste forme di emarginazione sociale rientra a pieno titolo il bullismo, un fenomeno che in base ai dati ISTAT ha una diffusione preoccupante nel nostro Paese, anche nella sua versione digitale, il cosiddetto cyberbullismo. Anche i dati dell’Osservatorio inDifesa, frutto di un’indagine su 8000 adolescenti, disegnano un quadro poco confortante sulla diffusione e gravità di questo fenomeno.

Il bullismo si manifesta con gravi episodi di violenza ma anche con umiliazioni e soprusi nei confronti di ragazze e ragazzi che manifestano difficoltà e disagio. Le aggressioni fisiche e verbali si manifestano all’interno della scuola, per le strade, nei luoghi di ritrovo. Si tratta di una forma di discriminazione che colpisce vittime tra i 7 e i 18 anni.

Le istituzioni contro le discriminazioni

Per combattere il bullismo, è necessario saper riconoscere i primi campanelli d’allarme per intervenire precocemente e non compromettere lo sviluppo e l’integrazione sociale di un ragazzo. Il Ministero dell’Interno ha promosso la creazione di un organismo preventivo: l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad). Lo scopo è dare supporto concreto alle persone che sono vittime di reati a sfondo discriminatorio (hate crimes). Le istituzioni hanno creato molti strumenti vicini agli adolescenti e a chi si occupa della loro educazione, nell’intenzione di prevenire le forme di discriminazione e di affermare il diritto alla libera espressione. Come esempi, citiamo il sito dei Carabinieri che offre una serie di consigli utili a conoscere e fronteggiare il fenomeno; e il sito Generazioni Connesse che fornisce informazioni e consigli per navigare sicuri in Rete.