12 - Consumo e produzione responsabili
Consumo e produzione responsabili, a che punto siamo?
Il Goal 12 dell’Agenda 2030 mira a raggiungere modelli di consumo e produzione responsabili, un obiettivo irrinunciabile per la sopravvivenza del Pianeta. Il “sistema Terra”, infatti, non è in grado di sostenere lo sfruttamento indiscriminato delle risorse messo in atto oggi dall’uomo. È necessario ristabilire l’equilibrio tra produzione e consumo, in modo che a ogni primavera il Pianeta possa offrire ai suoi abitanti la rinnovata quantità di risorse dell’anno precedente.
Ma che cosa si intende esattamente per “consumi e produzioni sostenibili”? Troviamo una spiegazione esaustiva sul sito di ONU Italia relativa alla fruizione di prodotti e servizi legati a esigenze di base:
“Si tratta di migliorare la qualità della vita, riducendo al minimo l’utilizzo di risorse naturali, di materiali tossici e le emissioni di rifiuti e inquinanti durante il ciclo di vita di prodotti e di servizi, salvaguardando le necessità delle generazioni future. Adottare modelli sostenibili di consumo e di produzione significa fare meglio e di più con meno”.
Ancora molto da cambiare
I dati raccolti dall’ONU riguardo a questo obiettivo di sostenibilità sono preoccupanti. Un primo aspetto critico è il costante peggioramento della cosiddetta material footprint (“impronta ecologica”), vale a dire la quantità di materie prime utilizzate per soddisfare la domanda di consumo finale. Si tratta di un indicatore che rileva le pressioni esercitate sull'ambiente per sostenere la crescita economica e soddisfare i bisogni materiali delle persone.
Nell’arco di circa 30 anni, l'impronta è passata da 43 miliardi di tonnellate nel 1990 a 54 miliardi nel 2000 e a 92 miliardi nel 2017. Si è quindi registrato un aumento del 70% dal 2000, anno dal quale Il tasso di estrazione delle risorse naturali è decisamente accelerato. Gli ultimi dati riportano che nel 2019 l'impronta ecologica è stata di 95,9 miliardi di tonnellate e la previsione per i decenni futuri è drammatica: se non si invertirà la tendenza, l’indice raggiungerà i 190 miliardi di tonnellate entro il 2060.
Le disuguaglianze geografiche
Se i dati storici destano preoccupazione, quelli elaborati in base alla distribuzione geografica risultano impressionanti. Il calcolo della material footprint relativa alle diverse aree del mondo evidenzia infatti uno sconcertante squilibrio tra i Paesi ad alto reddito e quelli a basso reddito.
Nel 2019 l'impronta ecologica pro capite nei Paesi ad alto reddito è 10 volte superiore a quella dei Paesi a basso reddito. In particolare, in Africa settentrionale e Asia occidentale, nonché in Europa e America settentrionale, l'impronta ecologica nel 2019 ha superato il consumo globale di materiali rispettivamente del 18% e del 14%, mentre in America Latina e Caraibi e nell'Africa subsahariana l'impronta ecologica è stata inferiore al consumo globale rispettivamente del 17% e del 32%.
Queste differenze evidenziano le disparità di responsabilità e di consumo tra Paesi ad alto reddito e Paesi a basso reddito. Questo divario negli ultimi decenni si è ridotto, ma non per una riduzione del consumo dei Paesi ad alto reddito, bensì per una notevole crescita della richiesta di consumi dei Paesi di reddito medio-alto (l’indice è raddoppiato nell’arco di 20 anni). Una tendenza che testimonia l’ingiusto squilibrio che vige tra i Paesi del Pianeta.
Lo spreco alimentare
Ci sono altri aspetti che possono aiutarci a fotografare e valutare la situazione attuale rispetto alla produzione e al consumo responsabile. Uno di questi, particolarmente significativo, è lo spreco alimentare.
Un terzo del cibo prodotto per il consumo umano viene perso o gettato come rifiuto, mentre solo una piccola parte viene riciclata. Questo dato è ancora più negativo se consideriamo che la produzione di cibo comporta anche uno spreco delle risorse utilizzate per produrlo, gestirlo e trasportarlo.
Lo spreco di cibo nei Paesi ad alto e medio reddito è legato soprattutto alle abitudini alimentari, poco attente al risparmio o al riciclo. Nei Paesi a basso reddito, invece, il fenomeno della perdita di beni alimentari è in gran parte dovuta alla cattiva organizzazione e gestione della filiera produttiva e distributiva.
Nel 2021, nonostante 828 milioni di persone soffrissero la fame, il 13,2% del cibo mondiale è andato perduto dopo il raccolto lungo la catena di approvvigionamento, dall'azienda agricola al consumatore. Un dato che non è cambiato di molto rispetto al 2016 e che non consente di raggiungere l'obiettivo di ridurre sostanzialmente le perdite alimentari post-raccolto entro il 2030.
Un ulteriore 17% di cibo viene sprecato a livello domestico, di ristorazione e di vendita al dettaglio, il che si traduce in un'impressionante quantità di rifiuti alimentari pari a 931 milioni di tonnellate o 120 chilogrammi pro capite nel 2019. L'Africa subsahariana registra la perdita di cibo più elevata, pari al 20%, rispetto al 9% dell'Europa e del Nord America.
Il mondo è in grave ritardo anche nei suoi sforzi per dimezzare gli sprechi e le perdite alimentari pro capite entro il 2030.
Consumo e produzione responsabili, che fare?
Il dodicesimo Goal ha una portata trasversale ed è complementare ad altri obiettivi dell’Agenda 2030. Lo scenario legato ai modelli di produzione e consumo responsabili, infatti, si completa con il cosiddetto water stress (il prelievo eccessivo delle riserve naturali di acqua rispetto alla loro reale disponibilità) e il diseguale accesso all’acqua potabile. Coinvolge inoltre altri fattori che comportano degrado ambientale e disuguaglianza sociale: l’ancora alto utilizzo di energia da fonti fossili (la pandemia e le crisi globali hanno avviato una ripresa dei sussidi ai combustibili fossili, quasi raddoppiati dal 2020 al 2021), il lento sviluppo delle forme di energia rinnovabile, l’eccessivo sfruttamento del suolo e la conseguente perdita di fertilità dei terreni agricoli.
Una politica sostenibile in Agenda
La costruzione di società sostenibili dipende dalla gestione responsabile delle risorse naturali limitate del Pianeta. È necessario un intervento urgente per garantire che i bisogni materiali della popolazione mondiale non comportino un'eccessiva estrazione di risorse e un ulteriore degrado dell'ambiente.
Un’iniziativa politica ben orientata è uno strumento indispensabile per consentire il passaggio a modelli di consumo e produzione sostenibili. Bisogna infatti migliorare l'efficienza dello sfruttamento delle risorse, ridurre gli sprechi e attivare pratiche di sostenibilità in tutti i settori dell'economia.
Le iniziative dell’ONU
La FAO nel 2015 ha lanciato l’iniziativa “SAVE FOOD: Global Initiative on Food Loss and Waste Reduction” per la riduzione dei rifiuti alimentari.
In questo ambito sono stati avviati numerosi progetti tra cui quello che mira a ridurre le perdite alimentari dopo la raccolta nella filiera orticola a Timor Est. I piccoli imprenditori agricoli del territorio sono stati formati alle buone pratiche di trasformazione, confezionamento ed etichettatura dei loro prodotti. A loro si è offerta un’opportunità per migliorare il business e, al tempo stesso, si è innescato un processo virtuoso per la limitazione degli sprechi nella catena produttiva (15% di dispersione alimentare in meno).
Tra i progetti avviati dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) va segnalato quello avviato in Costa Rica per rendere sostenibile la coltivazione dell’ananas il cui rapido sviluppo (è il maggior produttore mondiale) ha avuto un impatto ambientale e sociale negativo.
L’UNDP ha finanziato un sistema produttivo cui partecipano oltre 50 organizzazioni. Il progetto promuove “la produzione e il commercio responsabile, equo e in linea con le pratiche che tutelano l’ambiente, la comunità e i consumatori”. E nelle aziende uomini e donne lavorano con pari diritti e pari retribuzioni.
Altri progetti riguardano lo sviluppo dei sistemi di confezionamento e distribuzione del cibo per evitare il deterioramento e lo spreco degli alimenti. In Africa, dal 2017, la FAO e l'International Trade Centre, finanziati dall'azienda italiana di macchinari per l'imballaggio, Industria Macchine Automatiche (IMA), hanno studiato gli aspetti critici dell'imballaggio alimentare che le piccole e medie imprese agricole dell'Africa sub-sahariana devono affrontare.
Sono stati condotti studi in diversi Paesi per identificare un modello di business sostenibile per la creazione di centri nazionali di imballaggio rivolti alle piccole e medie imprese agroalimentari.
I traguardi
L’Agenda 2030 ha suddiviso il dodicesimo Goal in undici target, sintetizzati di seguito, che coinvolgono molti ambiti e si ricollegano a numerosi altri obiettivi sostenibili:
12.1 Dare attuazione al quadro decennale di programmi sul consumo e la produzione sostenibile.
12.2 Raggiungere la gestione sostenibile e l’uso efficiente delle risorse naturali.
12.3 Dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari e ridurre le perdite di cibo nella produzione.
12.4 Entro il 2020, ottenere la gestione eco-compatibile di sostanze chimiche e di tutti i rifiuti; ridurre il loro rilascio in aria, acqua e suolo, per minimizzare gli effetti negativi su salute e ambiente.
12.5 Ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclaggio e il riutilizzo.
12.6 Incoraggiare le imprese ad adottare pratiche sostenibili e integrare le informazioni sulla sostenibilità nelle loro relazioni periodiche.
12.7 Promuovere pratiche in materia di appalti pubblici che siano sostenibili.
12.8 Fare in modo che in tutto il mondo tutti abbiano le informazioni rilevanti in tema di sviluppo sostenibile e stili di vita in armonia con la natura.
12.a Sostenere i Paesi a basso reddito nel rafforzare la loro capacità scientifica e tecnologica per andare verso modelli più sostenibili di consumo e di produzione.
12.b Sviluppare e applicare strumenti per monitorare gli impatti di sviluppo sostenibile per il turismo sostenibile, che crei posti di lavoro e promuova la cultura e i prodotti locali.
12.c Razionalizzare i sussidi ai combustibili fossili che incoraggiano lo spreco, tenendo conto delle esigenze specifiche e delle condizioni dei paesi in via di sviluppo e riducendo al minimo gli effetti negativi sul loro sviluppo per proteggere le comunità povere.
Focus - Un mondo circolare
Per raggiungere l’obiettivo di una crescita sostenibile, è difficile pensare di continuare a sfruttare un modello economico basato sulla sequenza “produzione-consumo-rifiuto-smaltimento”. Questo è un modello lineare dove ogni prodotto è destinato a interrompere il suo ciclo vitale e a trasformarsi in rifiuto, ingombrante e talvolta anche pericoloso.
Nel quadro della costante pressione a cui la produzione e i consumi sottopongono le risorse naturali a livello planetario, è necessario impostare il ciclo economico secondo una logica diversa.
L’economia circolare è una risposta concreta all’esigenza di sostenibilità. Rifiuti, prodotti e materie prime possono essere riutilizzati, riparati o riciclati. Non più quindi un comportamento del tipo "prendi-produci-usa-getta", ma una serie di pratiche che prolungano il ciclo di vita dei prodotti e riducono l'impiego di materie prime e la produzione di rifiuti. L’obiettivo è quello di ottenere un ciclo infinito, in cui tutto viene usato e riusato (anche in diverse forme), evitando anche l’energia necessaria alla produzione.
Questo modo diverso di intendere il ciclo economico, oltre a interessare le grandi aziende e le loro catene di produzione e distribuzione, deve prendere posto nei comportamenti dei cittadini. È fondamentale che la mentalità di ciascuno di noi sia orientata ad adottare pratiche di riutilizzo e riciclo, e di consumo responsabile per favorire le aziende più “virtuose” in una logica di sostenibilità.
Una finanza diversa
Questa interpretazione dell’economia ha un corrispettivo nel campo della finanza. La gestione del denaro e il suo investimento possono essere visti come un bene prodotto da una determinata comunità di persone (risparmiatori, imprenditori…). Questa quantità di denaro spesso, attraverso il sistema bancario e assicurativo, prende strade che portano lontano dal territorio che l’ha generata. Gli istituti bancari utilizzano i depositi di privati e aziende per investire in attività lontane dalla loro sede, magari per scopi contrari alle intenzioni dei depositari.
Questo processo comporta una specie di impoverimento del territorio stesso: il denaro rimane comunque depositato nelle banche, ma il frutto di questi risparmi non ha ricadute su chi li ha depositati e sulla loro comunità.
Per questo sono sorte negli ultimi decenni esperienze di finanza etica: si tratta di banche a tutti gli effetti, riconosciute dai governi dei loro Paesi, che hanno scelto un modo di gestire i soldi dei cittadini responsabile e sostenibile. In accordo con i correntisti, i depositi vengono investiti (dopo approfondite ricerche) per sostenere attività economiche e sociali attente alla sostenibilità e all’integrazione. Dal 1998 in Italia opera la Banca Popolare etica.